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DA LE MEMORIE DI GIUSEPPE GARIBALDI |
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“Verso
giugno del 1850 m’imbarcai per Gilbiterra,di là a Liverpool e da
Liverpool a New York.Nella traversata per l’America fui assalito da
dolori reumatici che mi tormentarono durante gran parte del viaggio,e fui
finalmente sbarcato come un baule,non potendo muovermi,a Staten Island,nel
porto di New York.I dolori mi durarono un par di mesi,ch’ io passai in
parte a Staten Island e parte nella città stessa di New York,in casa del
mio caro e prezioso amico Michele Pastacaldi,ove godevo l’amabile
compagnia dell’illustre Foresti,uno dei martiri dello Spielberg.
Il progetto del Carpineto non poteva intanto attuarsi per mancanza di contribuenti.Egli aveva raccolto tre azioni da diecimila lire ognuna dai fratelli Camozzi di Bergamo,e da Piazzoni;ma che bastimento si poteva comprare in America con trentamila lire?Un piccolo barco per il cabotaggio; ma non essendo io cittadino Americano,sarei stato obbligato a prendere un capitano di quella nazione,e non conveniva.Infine qualche cosa bisognava fare.Un brav’uomo mio amico,ANTONIO MEUCCI,fiorentino,si decide di aprire una fabbrica di candele,e mi offre di aiutarlo nel suo stabilimento.Detto fatto.Interessarmi nella speculazione non lo potevo per mancanza di soldi,giacché le trentamila lire suddette non essendo state sufficienti per la compra del legnoerano rimaste in Italia;mi adattai quindi a quel lavoro con la condizione di fare quanto potevo.Lavorai per alcuni mesi col Meucci,il quale non mi trattò come un suo lavorante qualunque,ma come uno della famiglia e con molta amorevolezza.Un giorno però,stanco di far candele e spinto forse da irrequietezza naturale e abituale,uscii di casa col proposito di mutar mestiere.Mi rammentavo d’ esser stato marinaio,conoscevo qualche parola d’inglese,e mi avviai sul littorale dell’isola,ove scorgevo alcuni barchi di cabotaggio occupati a caricare e scaricare merci.Giunsi al primo,e chiesi d’esser imbarcato come marinaio.Appena mi dettero retta coloro che scorgevo sul bastimento,e continuavano i loro lavori.Feci lo stesso avvicinando un secondo legno,ed ebbi medesima risposta.Infine passo ad un altro,ove si stava lavorando a scaricare,e dimando se mi si permette di aiutare al lavoro,e n’ebbi in risposta che non ne abbisognavano.”Ma non vi chiedo mercede”,io insistevo:e nulla:”Voglio lavorare per scuotere il freddo”(vi era veramente la neve):meno ancora.Io rimasi mortificato.Riandavo col pensiero aa quei tempi ov’ebbi l’onore di comandare la squadra di Montevideo,nonché il bellicoso ed immortale esercito.A che serviva tutto ciò?non mi volevano!Rintuzzai infine la mortificazione e tornai al lavoro del sego.Fortuna ch’io non avea palesato la mia risoluzione all’eccellente MEUCCI,e quindi,concentrato in me stesso,il dispetto fu minore.Devo confessare inoltre di non essere il contegno del mio buon principale verso di me,che mi avesse indotto alla mia intempestiva risoluzione;egli m’era prodigo di benevolenza e d’amicizia,come lo era la signora Ester sua moglie.La mia condizione non era dunque deplorevole in casa del MEUCCI,ed era proprio stato un eccesso di malinconia che m’avea spinto ad allontanarmi da quella casa.In essa ero liberissimo,potevo lavorare se mi piaceva:e preferivo naturalmente il lavoro utile a qualunque altra occupazione;ma potevo andare a caccia qualche volta, e spesso si andava anche a pesca collo stesso principale,e con vari amici di Staten Island e di New York,che spesso ci favorivano con le loro visite.In casa poi non v’era lusso,ma nulla mancava delle principali necessità della vita,tanto per l’alloggio quanto per il vitto.
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