SIGNOR direttore, nel suo editoriale di mercoledì scorso,
dal titolo "Repubblica, il diavolo e l'acqua santa", Lei
non ha mancato di insistere sulla sua convinzione che il centrodestra
italiano rappresenti un'anomalia nelle democrazie occidentali per
quattro ragioni: il conflitto d'interessi, il monopolio televisivo,
le leggi ad personam, la cultura populista.
Permetta
al diavolo almeno di replicare. Non certo sulle sue convinzioni
che io rispetto, nonostante rivelino una sua personale ostilità
che non credo di meritare, quanto sui fatti, o meglio sulla loro
manipolazione.
Vengo
ai punti specifici della sua requisitoria.
Conflitto
di interessi. Non starò a ricordare la genesi della legge
che lo regola. Osservo soltanto che si tratta di una legge severa,
che affida il controllo ad autorità indipendenti e che è
stata approvata definitivamente, dai due rami del Parlamento, soltanto
grazie alla determinazione dell'attuale maggioranza.
Rispetto
a questa legge non c'è stato atto governativo che sia stato
ritenuto illegittimo e dunque volto a favorire i miei interessi,
economici o di qualunque altro genere. In assenza di atti ufficiali,
fossero pure di semplice natura istruttoria, nessuno è titolato
a sostenere la tesi che il governo sia condizionato dal conflitto
d'interesse. Farlo equivale a emettere condanna nei confronti di
qualcuno prima ancora che si istruisca un processo. Un atteggiamento
totalmente illiberale, questo sì, distorsivo dello Stato
di diritto.
Monopolio
televisivo. Non mi limito ad osservare che l'attuale assetto del
mercato radiotelevisivo vede, oltre ad una vastissima presenza di
emittenti locali, due grandi protagonisti in competizione aperta
tra loro e altri, attualmente con minori ascolti ma con grandi potenzialità
di espansione come Sky del gruppo Murdoch e La7 del gruppo Telecom.
Né mi limito a ricordare che il monopolio statale in campo
televisivo è stato rotto proprio dall'affermarsi del gruppo
che ho fondato, che ha aperto il mercato pubblicitario alle imprese
di medie e piccole dimensioni con notevolissimi vantaggi per tutta
l'economia ed ha offerto al pubblico maggiore libertà di
scelta, tanto che nel referendum del 1995 la maggioranza degli italiani
si pronunciò a favore della parità di condizioni tra
concorrente pubblico e concorrente privato.
Voglio
invece sottolineare il fatto che, in questi anni di governo Berlusconi,
l'azienda pubblica, la Rai, ha combattuto ad armi pari con Mediaset,
ed ha in molti casi superato in ascolti Mediaset. Non crede che,
se fossi stato spinto dai miei interessi imprenditoriali, avrei
agito per ottenere l'esatto contrario?
Basta
poi guardare i telegiornali e i programmi di approfondimento (compresi
quelli di Mediaset) per rendersi conto che non esiste monopolio
né controllo sull'informazione da parte del Presidente del
Consiglio.
Io e
il governo che presiedo siamo oggetto di critiche e di polemiche
- sia nei telegiornali della Rai che in quelli delle tv private
- più di ogni altro governo che ci ha preceduto. Questo è
indubitabile. Al contrario di quanto è capitato e capita
al sottoscritto, nessuno tra i politici nostri oppositori ha mai
potuto nemmeno lamentare un personale caso di censura o di attacco
a proprio danno.
Leggi
cosiddette ad personam. Su questo punto è stata compiuta
in questi anni una manipolazione che ha dell'incredibile. E che
non ha tenuto alcun conto di un fatto fondamentale. Cioè
che il Presidente del Consiglio e altri esponenti del suo partito,
sottoposti a processi penali (infondati e per esclusivi motivi politici),
non hanno ricevuto alcun beneficio da leggi che, invece, hanno agevolato
nei loro diritti di difesa migliaia di cittadini.
Se si
esclude la provvisoria sospensione di poche settimane dei procedimenti
nei miei confronti seguita all'approvazione del cosiddetto "lodo
Maccanico", dal nome dell'esponente del centrosinistra che
lo aveva proposto, nessuna legge che ha innovato aspetti importanti
della procedura penale ha procurato "vantaggi" giudiziari
a me o ad esponenti del mio partito.
Quanto
al "lodo", esso è stato cassato dalla Corte Costituzionale
non per il merito, ma perché la Corte ha ritenuto che fosse
necessaria una legge di natura costituzionale piuttosto che una
legge ordinaria. Ma Le ricordo che tutte le forze politiche consideravano,
e credo tuttora considerino, assolutamente necessaria una norma
che protegga le più alte cariche istituzionali dall'azione
penale durante lo svolgimento del loro mandato. Una norma che esiste
in quasi tutti i Paesi europei. Dunque si tratterebbe non di una
legge ad personam, ma di una legge a tutela delle istituzioni. Tutela
necessaria visto il debordante protagonismo di alcuni procuratori
della Repubblica che anche in questi giorni stanno occupando la
ribalta.
Cultura
populista. Qui entriamo nel campo dei puri giudizi politici. Ma
anche in questo caso l'accusa mi appare frutto di un atteggiamento
di snobismo intellettuale che considero un vizio di certa aristocrazia
culturale del nostro Paese. Si è mai chiesto la ragione dell'anomalia
tutta italiana nella diffusione dei quotidiani, che sono acquistati
da meno di 6 milioni di italiani al giorno? Forse il nostro è
un popolo di analfabeti o di indifferenti? O non è forse
vero il fatto che l'intellighenzia nazionale è distante anni
luce dai problemi che interessano realmente i cittadini?
Non mi
stupisce allora che anche Lei consideri populista chi sa parlare
ai cittadini con un linguaggio semplice, comprensibile a tutti,
e non si rifugia nel gergo elitario, il cui scopo è escludere
dalla conoscenza dei fatti e dalla comprensione dei problemi la
grande maggioranza degli elettori. Quello che Lei chiama populismo,
con qualche, mi consenta, punta di sussiego, io lo considero l'essenza
della democrazia. Perché chi governa e chi si occupa della
cosa pubblica ha il dovere di far comprendere a tutti il suo pensiero.
Comportarsi
diversamente potrebbe far venir meno il suo giudizio tranciante,
ma esprimerebbe certamente un'idea della politica e della cittadinanza
che risale a prima della conquista del suffragio universale.
Un ultimo
punto, e mi scuso per la lunghezza della mia missiva, riguarda la
lettera apparsa ieri, su queste stesse colonne, a firma dell'ing.
De Benedetti. Prendo nota, con rammarico, del fatto che l'ingegnere,
pur essendo persona certo navigata da anni nel duro mondo degli
affari, non ha saputo resistere al massacro mediatico, e tutto politico,
che investe immediatamente chiunque osi entrare in rapporto con
Silvio Berlusconi. Lo capisco, perché io questo massacro
ingiusto lo soffro sulla mia pelle quotidianamente da quando ho
osato togliere il potere ad una sinistra che si era illusa di avere
già vinto.
Non vorrei,
Signor direttore, che questa stessa sinistra e che molte persone
che la pensano come Lei si illudessero ancora una volta.
7 agosto
2005 |