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- Per favore, non
disturbate la Fata Morgana! - Lo dico a coloro che hanno intenzione di
piantare i pilastri sulle due sponde ballerine per congiungere con una
gigantesca campata quel che la natura separò.
A nulla è servita
l'esperienza di Serse, il re dei Persiani il quale, volendo cancellare
il guado dell'Ellesponto con un ponte di barche, provocò l'ira degli dei
che decretarono la sua sconfitta. Oggi gli dei non ci sono più; gli
scienziati hanno preso il loro posto e non temono i vortici nello
Stretto né la furia dei venti di cui hanno individuato i canali per
secondarli al fine di non incorrere nelle loro ire. Oggi, della mia
raccomandazione di non turbare il desiderio della Fata Morgana di
emergere dagli abissi marini dove dimora insieme con Colapesce, molti se
ne ridono! E non ascoltano le mie preoccupazioni che il ponte,
approdando a nord della città, significherebbe dimenticare Messina. Già
ora essa è in genere una tappa, domani non sarebbe nemmeno quella.
Metafore e
reminescenze mitologiche o leggendarie a parte, il concetto del Ponte fu
la meraviglia della fine dell'Ottocento: allora non c'erano traghetti
veloci, aliscafi, elicotteri, aerei; oggi il Ponte è un anacronismo
valido solo per soddisfare la vanità di alcuni e come tutti i colossi
non esclude di avere, imprevedibile e imprevisto, un piede di argilla.
So che a parlare
del ponte sullo Stretto si incorre in un'altra insidia: quella di dare a
una espressa opinione, basata sulla ragione o sulla fantasia, una forte
impronta politica. Sulla base di questa meschinità retorica il "sì" al
ponte è di destra e il "no" è di sinistra. Certo io non posso essere
classificato di sinistra; è una vita che combatto nel mio piccolo il
comunismo ieri, colpevole di infamie liberticide, genocidi, ingiustizie
sociali, e oggi i suoi ipocriti derivati multicolori dalla memoria corta
e dalla ragione nulla. Dico questo perché mi ha positivamente colpito
invece quel che ho sentito dire da Pecoraro Scanio nel corso di un
talk-show sulla "7". È costui un fazioso così scoperto e condizionato
dai preconcetti a cui si lega preventivamente al punto di pregiudicare
la sua credibilità anche quando dice cose possibili o addirittura
giuste. Con mia meraviglia egli ha esposto il suo punto di vista sul
ponte con un garbo, un ordine, oserei dire una sintassi da risultare
convincente e in ogni modo assennato e logico. Il suo abituale tono
sprezzante era sparito, quel sorrisetto ironico che risulta per molti
irritante, pure.
Sembrava un
altro. Intendiamoci, gli argomenti erano quelli sostenuti da quanti sono
contrari al ponte, ma erano esposti con garbo, con una disponibilità al
confronto che mi ha sbalordito. Diceva: perché fare il ponte, impiegare
ingenti capitali e risorse titaniche, mentre in Sicilia da decenni le
autostrade aspettano di essere completate, gli acquedotti sono
insufficienti, i treni viaggiano su binari unici, tesori d'arte sono
pressoché irraggiungibili per un'insufficienza viaria. E cosi via. Io
avrei aggiunto: perché non ripristinare l'aeroporto di Comiso lasciato
in piena efficienza dagli americani? Da quegli americani di cui la
cultura di sinistra si ostina a diffidare anche quando portano doni?
Comiso è nel cuore della Sicilia archeologica e barocca; per
raggiungerla i visitatori nazionali e stranieri devono percorrere
itinerari complicati, in macchine su strade talvolta impervie o in treno
con percorsi lenti e sconfortevoli, mentre basterebbe scendere i gradini
di una scaletta di aereo per trovarsi nel pieno della magia dell'arte e
della natura. L'aeroporto di Comiso è inutilizzato, è diventato prima
campo profughi, quindi un pascolo per capre...
Quel che però in
questa occasione mi preme dire è quanto segue: perché Pecoraro Scanio
non si occupa di ambiente con la competenza e la serietà di cui è capace
secondo il saggio che ha dato quella sera invece di fare il politicante
umorale, viscerale, isterico? Sia ben chiaro la questione è da porsi non
solo a lui ma a tutti quanti noi. Quando la finiremo di mettere tutto in
politica? Quando ci decideremo a trattare i problemi in sé e non secondo
soluzioni prefabbricate conformi a un nostro angusto punto di vista
dettato dalla politica della parte a cui riteniamo di appartenere?
Per tornare al
ponte sullo Stretto lasciate che esponga sommariamente quanto ho
dichiarato con più ampie giustificazioni altre volte. Io sono
irriducibilmente contrario al ponte perché attribuisco all'insularità
della Sicilia una importanza non solo metaforica. L'insularità è il
segreto della autonomia della nostra cultura. È la tesi sostenuta anni
fa da Oreste del Buono insospettabile come sciovinista poiché siciliano
non era. Noi abbiamo subìto molte invasioni portatrici di culture
diverse. Come si giustifica il fatto che la Sicilia non conosca
soluzioni di continuità da Epicarmo a Gorgia a Pirandello, solo per
ricorrere a un esempio facile? Com'è possibile che la nostra cultura
possegga una coerenza e, appunto, una autonomia che persino culture
nazionali non sempre hanno? Noi abbiamo accolto gli invasori da tutti i
mari, li abbiamo metabolizzati e poi restituiti con qualche cosa in più;
così la risacca deposita sulla battigia i suoi detriti e poi ritirandosi
li riporta via arricchiti di detriti trovati sulla riva.
La Sicilia è
un'isola; il suo ponte è il mare.
Turi
Vasile
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